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I CAPPELLI DELLA LEADERSHIP

Guido Menegatti | HR specialist presso Credem

 

“Siamo convinti che i piccoli gesti producono grandi risultati e in Credem, insieme a Peoplerise, abbiamo concluso un ciclo di formazione per 900 manager su “LA LEADERSHIP DEI PICCOLI GESTI”.

I piccoli gesti rimandano direttamente ad una relazione. Ma non tutte le relazioni sono uguali e spesso si corre il rischio di confonderle.”

“A chi ha testa non manca cappello”  (detto popolare)

 

Molto spesso, nel corso delle tante aule di formazione manageriale che ho accompagnato, mi sono accorto di come non fosse semplice definire “univocamente” le specificità delle azioni di leadership, perché essa è un contenitore potenzialmente così vasto da correre il rischio di metterci davvero dentro “tutto e il contrario di tutto”. Ho lungamente pensato a come queste difficoltà potessero prodursi, e partendo da qui ho elaborato la mia personale “teoria dei cappelli”.

account manager too many hats

Nell’azienda dove io lavoro, ma anche in molte altre, le persone che hanno un ruolo di coordinamento si trovano di fatto ad avere sulla testa almeno quattro cappelli diversi:

 

  • Un cappello da capo
  • Un cappello da manager
  • Un cappello da leader
  • Un cappello da coach

 

Anche se la stessa persona può indossare tutti questi cappelli, e nel momento dell’azione è indiscutibile che ognuno di essi richieda qualche attributo di leadership, rimane il fatto che concettualmente si tratta di dimensioni diverse. Così è anche nella operatività, perché essere un grande leader non significa per automatismo essere anche un ottimo manager o un ottimo capo, e viceversa.

 

In altri termini, queste dimensioni trovano vita in situazioni diverse, e richiedono comportamenti diversi per essere svolte al meglio. Capita invece di confondere i piani, e allora i risultati non sono ottimali.

 

Credo che questa confusione possa crearsi perché il capo, il manager, il leader ed il coach (ma se volessimo complicarci la vita anche il mentore, il tutor, il Maestro di Mestiere…) lavorano in prevalenza con lo stesso “strumento applicativo”: LA RELAZIONE. Può quindi essere utile distinguere il tipo ed il livello di relazione che corrisponde ad ognuno dei cappelli (ripresa della matrice “quattro livelli di relazione”), e le situazioni nelle quali quel particolare tipo di relazione appare essere il più indicato:

 

leadership

Anche se inevitabilmente un po’ “tagliata con l’accetta”, questa rappresentazione consente di chiarire rapidamente un aspetto fondamentale: non esistono modalità migliori in assoluto, ma piuttosto situazioni dove una modalità è preferibile alle altre alla luce del risultato che ci si propone di raggiungere o del compito che si è chiamati a svolgere.

 

Ad esempio, se ci trovassimo in un palazzo dove scoppia un incendio improvviso, a nessuno verrebbe in mente di chiedere coinvolgimento e condivisione e approfondimento introspettivo (modalità tipiche da leader e da coach), e saremmo tutti ben contenti di seguire senza indugio prima, e di ringraziare sentitamente poi, un capitano dei pompieri sicuro di sé che con ordini decisi e diretti ci mette in fila e ci porta fuori pericolo.

 

Facendo un esempio diverso, la mia motivazione non può essere mantenuta e accresciuta semplicemente ordinandomi di farlo, e qui la differenza la fa la capacità di ingaggiarmi soprattutto emotivamente.

 

Il mio capo lo nomina l’azienda ed è giusto così, ma il mio leader lo scelgo io ed è un dato di fatto. Mi occupo di leadership da molti anni e credo che una leadership diffusa e condivisa sia un fattore determinante per l’eccellenza aziendale ma anche penso, estremizzando, che sia molto meglio essere un ottimo capo che un pessimo leader, perché il primo impartisce ordini che ha senso seguire, mentre il secondo trascina le persone sulla cattiva strada (la storia passata e presente offre innumerevoli esempi in ambo i sensi).

 

Non credo che leader si nasca o almeno non solo, penso che qualcuno ci nasca e tutti potrebbero diventarlo. Nello stesso tempo ognuno di noi per carattere ed inclinazione sente affini a sé determinate modalità relazionali piuttosto che altre. Che fare dunque, per svolgere al meglio compiti complessi che richiedono di indossare tutti questi cappelli? Prima di tutto cercare di comprendere quale tra i cappelli descritti si sente più adatto alla propria testa e immaginare modalità per portare questa capacità a livello di eccellenza.

 

Poi, con la stessa onestà, identificare quale dei cappelli ci sembra essere troppo stretto o troppo largo, e cercare di adattarlo ad una misura almeno adeguata. La strategia di sviluppo della propria capacità di leadership è piuttosto classica: massimizzazione dei punti di forza e contenimento delle aree di miglioramento. Poi, la differenza la fanno le situazioni in cui ci troviamo. Abituarsi a riconoscerle e allenarsi ad utilizzare modalità comportamentali coerenti con esse è un passo fondamentale di crescita. All’inizio sarà soprattutto un esercizio “di testa”, molto pensato come tutte le cose nuove, ma con perseveranza si può arrivare – come avviene per altre attività, ad esempio la guida dell’automobile – a considerare “istintivi” i gesti e le modalità che in quelle situazioni si adottano, mentre in realtà sono frutto di allenamento costante.

 

Quando questo accade, quando il riconoscimento della situazione e la modalità comportamentale che si adatta è più “sentita” che “pensata”, allora potremo essere certi di essere cresciuti.

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