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Dov’è finito il sogno imprenditoriale?

 

Qualsiasi azienda che abbia passato indenne la fase della sua fondazione, è, da quel momento, sempre più orientata a far accadere le stesse cose con maggior efficienza, rincorrendo quello che ritiene il suo loop virtuoso. Questo loop è sostenuto da un forte ingaggio, determinato prima dall’avventura nel fondare una cosa nuova e poi dai risultati positivi, se ci sono. É questa la fase in cui tutto accade in modo lineare senza importanti ristrutturazioni dell’ idea originaria di business: è un periodo più o meno lungo durante il quale se il “biscotto farcito di cioccolata” vende un po’ meno, si reagisce con la “doppia farcitura”.

 

Ma ad un certo punto l’organizzazione entra in crisi: questo accade molto spesso. La crisi alla quale mi riferisco è quello stato in cui un’azienda si ritrova quando il funzionamento, sul quale si è da sempre sostenuta, perde l’equilibrio. Ciò avviene con una certa lentezza, inizialmente vi sono solamente segnali deboli che l’organizzazione coglie in modo sfocato:

  • Il management rifiuta di riconoscere queste avvisaglie: è troppo intento nella prosecuzione del suo viaggio lineare, che ritiene di poter compiere senza grandi cambiamenti, eventualmente agendo ulteriormente sull’efficienza: aggiungendo quindi una “doppia farcitura” o, alla peggio, tagliando i costi;
  • per molti collaboratori inizia un percorso di progressivo disingaggio: i migliori iniziano a contattare gli head hunter, ad inviare CV e pian piano lasciano l’azienda;
  • l’organizzazione vive un periodo d’ombra, dove timori , alleanze poco orientate al business e il taglio di costi divengono i principali impegni;
  • la performance organizzativa si inceppa in ingranaggi sempre più vitali e a un certo punto anche l’ingaggio del cliente decade progressivamente: gli acquisti diminuisco via via.

 

Se è vero che riuscire ad avere un elevato livello di engagement su entrambi i lati del business (persone e clienti) garantisce risultati di quasi tre volte superiori rispetto ai peggiori possibili, è altrettanto vero il contrario: se si sfilaccia l’ingaggio, il crollo sui principali indicatori di business (produttività, turn over, vendite, risultato operativo) è garantito .

Ma come uscire da questo incubo?

 

Il pensiero che ci stimola continuamente è come tornare al “sogno imprenditoriale” e magari poterlo attualizzare rispetto alle cose che non hanno funzionato o che per motivi sociali non sono più adeguate.
Ci piacerebbe tornare a vedere quegli sguardi furbi e ingegnosi che contraddistinguevano gli imprenditori che hanno fatto il successo del ventesimo secolo. Sarebbe bello vedere ancora imprenditori che decidono investimenti da far tremare le gambe e che già assaporano il prossimo passo.

 

Gamechangers veri che hanno compreso che “l’oro nero” del ventunesimo secolo si chiama intelligenza collettiva e che il loro deve essere un sogno “sostenibile”.

Come attivare questo nuovo sogno imprenditoriale?

Noi siamo convinti che i sogni imprenditoriali del ventunesimo secolo siano stati rubati da un pirata invidioso che alla guida della sua navicella intergalattica li ha sottratti al nostro mondo prima che i nostri imprenditori potessero cominciare ad immaginarli.

 

E’ per questo che gli imprenditori sono in crisi: non riescono ad immaginare il futuro. Senza l’esercizio dell’immaginazione è impossibile intraprendere, si può solo divenire dei bravi amministratori dell’esistente.
I sogni sono stati nascosti in un forziere così bene come solo un pirata riesce a fare.
Qual è il lato positivo di questa brutta storia?

Noi abbiamo “fregato” la MAPPA DEL TESORO al pirata e vi abbiamo trovate descritte 4 azioni da effettuare in 4 tappe:

 

1. LA PRIMA TAPPA > è la rifocalizzazione strategica

 

In pochissime, semplici ma concrete righe inserire e diffondere nell’organizzazione le risposte a queste 6 domande critiche:

  • Perché possiamo esistere?
  • Come ci comportiamo?
  • Cosa ha senso che facciamo?
  • Come possiamo avere successo?
  • Qual’è la cosa più importante per noi in questo momento?
  • Come ce ne occupiamo?

 

Un modo per guardarsi dentro, comprendere cosa sia cambiato ed acquisire consapevolezza su cosa sia importante fare subito. Le organizzazioni, quando comprendono cosa c’è da fare , lo fanno e pure bene!

 

2. LA SECONDA > è muovere molto poco per imprimere movimento al tutto

 

Una cosa per volta, senza la fretta ma solo con un sano senso dell’urgenza.
Ad esempio non ha senso concentrarsi sulla struttura organizzativa che sostiene l’attuale efficienza (unico baluardo per cui il sistema pur scricchiolante regge).

I principali processi, gli organigrammi, le job description, i comitati, le politiche, la governance, etc…, rispondono all’esigenza di efficienza e il rinnovamento di questi aspetti, ammesso che sia ritenuto utile, avviene solo dopo che ci si è rifondati. Farlo prima è finto.

Un po’ come dire: l’organizzazione, quella hard, è il risultato del sogno imprenditoriale che si sta realizzando.

 

Organizzare o riorganizzare in senso stretto ha senso solo dopo che l’organizzazione si sia affiatata e dopo che abbia messo in ordine i suoi funzionamenti più profondi: tramite lo sviluppo di quelle poche capacità che fanno lavorare le persone con maggior ingaggio e che siano attente agli standard collettivi di performance.

 

3. LA TERZA TAPPA > è immaginare un sistema organizzativo ibrido

 

La sfida è di generare un senso di positiva urgenza attorno alle “6 risposte critiche”.
La dimensione organizzativa più reattiva è il TEAM. Nel team si fondono l’informalità, la spontaneità e la reale voglia di collaborare. È necessario dotare i team degli strumenti adeguati affinchè il loro funzionamento sia genuinamente orientato al fare accadere ciò su cui sono chiamati a dare un contributo:

  • La fiducia
  • La vulnerabilità
  • L’impegno
  • Gli standard
  • La focalizzazione su obiettivi comuni

 

Un funzionamento ibrido che accoppia al tradizionale e necessario assetto efficientista, atto a far accadere linearmente quanto è stato pianificato, una innovativa attivazione dei team funzionali ed interfunzionali che lavorano nella ricerca di un appagante ingaggio e di una conseguente fantastica performance del team. Lo stesso luogo diviene contesto per la prestazione individuale e per la performance collettiva.

 

4. LA QUARTA TAPPA > è raggiungere il punto di non ritorno

 

Se si riesce in questo modo a mobilitare il 10% dell’organizzazione, l’energia che si genererà sarà in grado di sostenere le fasi successive.

Le fasi successive non sono altro che un accompagnamento leggero dell’organizzazione nel suo cambiamento, ad esempio:

  • essere pronti a co-progettare, reingegnirizzare i diversi add on organizzativi hard , man mano che l’organizzazione li decide come necessari;
  • inserire soluzioni easy tech per ancorare ad una giusta ed utile ritualità le attività decise;
  • attivare dei percorsi di coaching individuale per permettere alle singole squadre di sviluppare prestazioni di sempre maggior livello. Una gara a staffetta si vince integrando i risultati dei singoli, non grazie alla singola migliore prestazione;

 

Entro queste maglie larghe facilitare un libero e sostenibile lavoro dell’organizzazione tenendo costantemente misurati i livelli percepiti di engagement e performance.

 

Nella intervista a Steve Jobs “Steve Jobs talks about managing people” del 2010, Jobs diceva che Apple era ancora un’azienda fantasticamente collaborativa perchè è organizzata come una start up: la più grande e duratura start up del pianeta. Se pensiamo a come la carica di uranio (ingaggio smisurato, performance alle stelle) nelle aziende viene inserita nel momento della loro fondazione e che è proprio questa carica che le sostiene nel lungo periodo, anche a dispetto delle angherie organizzative che via via vengono inflitte come necessarie, forse Jobs aveva ragione, conviene pensarsi start up a vita. Il p2p non è ancora il modello di funzionamento organizzativo dell’ordinario pianificato, ma può divenire il modello organizzativo per generare e mantenere costantemente attivo il cambiamento nelle aziende! Noi ci crediamo, voi che ne dite?

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