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L’approccio biografico per comprendere i temi DEIB

In questo articolo vorrei raccontarvi come l’utilizzo di un approccio biografico possa essere un efficace punto di partenza per approfondire tematiche vaste, come il tema DEIB (Diversity, Equity, Inclusion & Belonging).

 

Da un po’ di tempo mi ero riproposta di raccontare le riflessioni e le sperimentazioni che stiamo vivendo in Peoplerise sui temi di Diversità, Equità e Inclusione, o Unicità, Equità e Pienezza, come preferiamo chiamarli noi. Ma non sapevo esattamente da dove cominciare.

 

la lente dell’approccio biografico

 

Poi abbiamo scelto di regalarci un po’ di tempo per raccontarci un episodio della nostra vita in cui siamo stati “parte di qualcosa” e uno in cui ci siamo sentiti discriminati. In quel momento, ho intuito che potevo lasciare andare la preoccupazione di un racconto sistemico, strutturato e abbracciare un racconto autentico, grazie all’utilizzo dell’approccio biografico.

 

“Tutte le verità sono vere, solo che tutte sono parziali”, mi ha detto una persona cara qualche anno fa.

 

Dai nostri racconti sono emersi soprattutto momenti vissuti nell’infanzia e nell’adolescenza, guarda caso quei momenti della vita in cui più ci costruiamo significati, linguaggio e modelli di comportamento e lettura della realtà.

 

Interessante ed emozionante, provate se vi va. In ufficio in un momento di pausa, in famiglia.

 

Questa esperienza, ha rafforzato il legame che sento tra tematiche centrali nei progetti organizzativi, che portiamo avanti insieme ai clienti, e la sensibilità DEIB.

 

La DEIB non è un’isola, un tema che si può staccare dagli altri temi che viviamo in azienda come un magnete si stacca dal frigo.

 

DEIB è un luogo dentro di noi, più profondo e consapevole di quelli da cui di solito prendiamo decisioni, parliamo e diamo parola in una riunione, possiamo far emergere creatività e potenzialità in un gruppo, trasformare processi e anche il modello organizzativo.

 

L’approccio biografico per trovare parole condivise

 

Nella DEIB o UE&P (Unicità, Equità e Pienezza) abbiamo bisogno di trovare parole condivise, partendo dalla nostra biografia e dall’approfondimento del linguaggio. Perché le parole hanno una storia e un contesto che ne influenzano il significato. Fanno parte, dice Bruner (1992), dei sistemi simbolici della cultura che rappresentano per l’individuo la “cassetta degli attrezzi” per la ricerca di significati.

 

Facciamo un esempio: la parola diversità viene da vertĕre (volgere) e dis (altrove) che indicano il volgere in altra parte, ma anche l’allontanarsi, il deviare, il cambiare direzione. L’aggettivo dīversus e il sostantivo dīversum che ne derivano indicano una qualità e un modo di essere che rimanda a un’idea di separatezza, di contrarietà, di lontananza. Dalla stessa radice proviene anche il lemma dīvertium, divorzio.

 

Culturalmente, al momento, l’abbiamo scelta per progetti dedicati a valorizzare l’unicità delle persone. Mi ha fatto riflettere e mi ha ricordato il titolo di un romanzo di Carlo Levi, “Le parole sono pietre”.

 

Durante la nostra condivisione di storie di vita abbiamo verificato che affrontare conversazioni e scelte di Unicità, Equità e Pienezza, richiede coraggio. Il coraggio umano, non l’idea del coraggio. Quello che ci fa venire la tachicardia quando aspettiamo i risultati di un esame importante. Quello che abbiamo provato facendo un colloquio, da cui potevano dipendere i futuri anni della nostra vita.

 

Perché confrontarsi con questi temi, ci espone a sentire e nominare i nostri privilegi, i nostri meccanismi di verifica della realtà e le dinamiche di potere che esercitiamo o che subiamo. Questo ci tocca in prima persona, ci mette sulla difensiva. Rende vulnerabili noi che siamo parte di alcuni dei gruppi più privilegiati della terra. Figuriamoci quelle infinite persone che hanno meno privilegi e potere di noi, per le quali esporsi può significare perdere il lavoro, un’opportunità, o peggio.

 

Trasformazione organizzativa e sensibilità DEIB

 

Verna Myer dice che “i bias sono quelle storie che ci costruiamo riguardo alle persone prima di sapere realmente chi siano”.

 

Nessuno è immune, questo consola. Ma non giustifica.

 

Non c’è regalo più grande che possiamo farci impostando una strategia, affrontando un conflitto, creando o consolidando un gruppo, crescendo come professionisti, che praticare quotidianamente l’arte di smascherare gli inganni della nostra mente.

 

Oggi il grande lavoro sui temi DEIB che è già in atto, ci fornisce un linguaggio adatto, delle pratiche evolute per ampliare l’impatto dei progetti di trasformazione in un’organizzazione.

 

Proviamo ad avvicinarci agli inganni della nostra mente con un esempio semplicissimo. Ne trovate a tanti online.

 

Cosa raffigura questa immagine?

 

DEIB

 

Provate a dare una vostra risposta intuitiva, prima di proseguire nella lettura. Un’architettura contemporanea, un’abitazione, un centro congressi, un modellino? Queste sono alcune delle risposte che incontro più frequentemente.

 

 

 

 

È l’interno di una chitarra!

 

La nostra mente integra l’assenza di informazioni attingendo per analogia a ciò che conosce. Se ne siamo consapevoli, possiamo creare processi che ci aiutino a compensare i punti ciechi, che tutti sperimentiamo.

 

Facciamo le proporzioni e riportiamo questa dinamica del cervello alla quotidianità lavorativa: su quali credenze profonde baso le decisioni che ho preso oggi in riunione?

Sono nel mio interesse o nell’interesse del gruppo?

Si basano sulle esigenze mie e dei miei simili o tengono conto anche di altre possibili visioni e bisogni? Qual è il punto cieco che solo l’Altro può mostrarmi e che può rendere noi, i progetti, il business più resilienti o antifragili?

 

Che impatto hanno le mie decisioni su chi mi sta intorno? Esercito il mio potere, vestendolo di una parvenza di ascolto?

 

Possiamo andare deliberatamente in cerca di disconferme delle nostre convinzioni. Perché? Per ampliare la nostra visione del mondo e per consentire alla neuro-plasticità del nostro cervello di fare il suo lavoro. Già Darwin aveva capito che questa “semplice” pratica poteva giovare enormemente alle sue scoperte scientifiche.

 

Questa è una delle tante pratiche e micro-azioni di cui costelliamo i progetti trasformativi e che possono essere acquisite per rinnovare il DNA della cultura e struttura dei luoghi di lavoro in cui siamo immersi, oltre i trend del momento.

 

Ma cosa diavolo è l’acqua?

 

La DEIB non è quindi una “questione di genere”.

 

La ancora tangibile diseguaglianza di genere, non è che una delle caleidoscopiche manifestazioni di discriminazioni intersezionali della cultura in cui siamo immersi. Che per questo fatichiamo a vedere.

 

Può essere allora un importantissimo punto di partenza, come mostra il progetto lanciato recentemente da CPB London,Imagine…a world where gender makes no difference, collocato in un panorama ampio e consapevole.

 

Ci sono due giovani pesci, scrive David Foster Wallace, che nuotano uno vicino all’altro e incontrano un pesce più anziano che, nuotando in direzione opposta, fa loro un cenno di saluto e poi dice “Buongiorno ragazzi. Com’è l’acqua?” I due giovani pesci continuano a nuotare per un po’, e poi uno dei due guarda l’altro e gli chiede “ma cosa diavolo è l’acqua?”

 

Se vi fa piacere raccontarci o confrontarvi con noi per sentire un po’ “com’è l’acqua” nella vostra organizzazione e approfondire i temi della DEIB/UE&P, scrivetemi a elena.crudo@peoplerise.net.

 

Sono e siamo sempre in cerca nuove visioni del mondo.

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