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SOCIAL PRESENCING THEATER

Le persone ma anche i gruppi e le organizzazioni, in generale, hanno un punto cieco nella propria visione della realtà. Per il semplice fatto che, se siamo immersi dentro alla nostra quotidianità e ai nostri usuali schemi mentali, tutti noi tendiamo a non vedere alcuni aspetti di ciò che accade. Il Social Presencing Theater, attraverso la rappresentazione fisica dei ruoli e degli stakeholder di un sistema (come ad es. un team di lavoro, una funzione aziendale o l’intera organizzazione), offre la possibilità di “osservarsi da fuori” e vedere ciò che prima non si riusciva a mettere in luce. E la consapevolezza di nuove prospettive aiuta a non replicare gli stessi schemi d’azione e trovare nuove possibilità di azione.

Abbiamo organizzato un Social Presencing Theater sperimentale a Milano, presso Copernico, che ha avuto come oggetto il Sistema Sanitario Nazionale.

È un metodo che usiamo nelle aziende per far sì che le persone e i gruppi diventino consapevoli di aspetti che fino a prima non avevano considerato o avevano valutato diversamente. È un modo molto veloce per raccogliere informazioni preziose e vedere il sistema e le sue dinamiche da altre prospettive. Informazioni che altrimenti sarebbe difficile avere. La rappresentazione viene guidata dal corpo e non dalla mente. Portiamo i partecipanti a “sentire” le situazioni, più che a ragionarle. E a volte accade di iniziare il Social Presencing Theater pensando che i problemi da risolvere riguardino determinati aspetti, invece attraverso la rappresentazione si realizza che le tematiche da affrontare sono altre.

Per strutturare un Social Presencing Theater, che è una tecnica che rientra nella pratica dell’embodiedied learning, è necessario seguire un vero e proprio metodo, che è stato ideato dalla coreografa Arawana Hayashi e sviluppato nell’ambito delle attività di ricerca svolte dal Presencing Institute del MIT di Boston.

I partecipanti possono scegliere se prendere parte attiva alla rappresentazione (attori) interpretando fisicamente i ruoli degli stakeholder del contesto a cui si fa riferimento, oppure se fare da osservatori, coloro che pongono attenzione alle dinamiche della rappresentazione per poi condividere quanto osservato con tutti i partecipanti.

In vista della rappresentazione vengono individuati gli stakeholder del contesto a cui si fa riferimento. Nel caso della nostra esperienza incentrata sul Sistema Sanitario Nazionale, avevamo identificato come ruoli: medico, paziente, dr. google, famiglia del paziente, la capacità clinica (di osservare il paziente a 360 gradi), ricerca, risorse economiche, fiducia e tecnologia. Durante un Social Presencing Theater infatti viene data voce anche a elementi che non sono persone fisiche, ma svolgono una parte importante nel sistema.”

E poiché lo scopo è far emergere ciò di cui un’organizzazione ha bisogno per evolvere, tra gli stakeholders che vengono interpretati sono sempre presenti gli emarginati di quel sistema (ovvero coloro che stanno ai suoi margini), la terra, intesa come il nostro pianeta e la migliore possibilità futura per quel determinato sistema.

A volte gli stakeholders individuati in fase di preparazione vengono integrati su suggerimento dei presenti. Ad esempio nel caso dell’esperienza sul Sistema Sanitario Nazionale i partecipanti hanno richiesto di inserire il personale non medico come parte in causa nel sistema. Può anche capitare che nessuno si offra invece di interpretare un ruolo che noi abbiamo proposto. Vuol dire che per il contesto quell’elemento non è importante e dunque viene eliminato. In ogni caso anche questo è un dato di riflessione.”

Rappresentare questi ruoli significa che all’inizio a ognuno viene chiesto (su base volontaria) di trovare uno spazio dove collocarsi in scena e assumere fisicamente una posizione, non dettata però dalla ragione ma dalla fiducia attribuita al proprio corpo, senza chiedersi perché.

Assunta la posizione, chiediamo a chi sta rappresentando il ruolo di dire una frase, ciò che sente che quella posizione vuole dire, senza pensarci. In seguito invitiamo gli attori a entrare in contatto con le loro sensazioni. Dopo qualche minuto, poiché quando i sistemi sono in tensione tendono a muoversi per cercare un nuovo equilibrio, verifichiamo se qualcuno sente il bisogno di cambiare posizione e quindi suggeriamo di farlo. A questo punto normalmente lo spostamento di una persona provoca quello di altre, perché ogni elemento che si muove dentro ad un sistema induce una reazione. Trovata la nuova posizione chiediamo a ciascuno di riformulare una frase. Questa nuova fase rappresenta quindi la raffigurazione della naturale evoluzione del sistema, come tende ad evolversi. Lo scopo infatti è riuscire a visualizzare nuove possibilità di azione.

La differenza tra il momento iniziale e finale, dunque, sta nel fatto che nel primo caso la raffigurazione rappresenta il sistema così come è in quel momento attuale, nel passaggio al secondo emergono quali “movimenti” il sistema deve compiere per evolvere, per attuare la trasformazione che vuole intraprendere.

Quando la rappresentazione viene dichiarata chiusa, inizia quello che viene chiamato il debriefing. Si chiede agli attori cosa li ha colpiti, cos’hanno provato, cosa li ha sorpresi, che cosa hanno visto. Il focus è sempre sulle sensazioni e su cosa il corpo ha sentito. È così che emergono i punti ciechi. Noi facilitatori quindi facciamo una sintesi di quello che è emerso. Si mettono sul tavolo dei decisori le questioni importanti per aiutarli ad avere una prospettiva diversa, per valutare cosa fare, quali interventi adottare e come identificare le priorità. Si tratta di materiale informativo che non potremmo raccogliere in nessun altro modo.

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